Cari Alfonso e Giovanni, capisco le difficoltà a rispondere punto per punto alle mie, peraltro semplici e secche, domande/critiche. Ma siete entrambi troppo intelligenti e preparati per potervela cavare accusandomi di “ingenerosità” e di “immotivate” critiche nei confronti delle tendenze oggi prevalenti nella sinistra conflittuale, soprattutto in quella giovanile e studentesca  (non userò il termine “compagneria”, visto che Alfonso lo ritiene “spregiativo” mentre in realtà è bonario e mi evita di dover aggiungere al sostantivo “sinistra” aggettivi tipo “rivoluzionaria” “antagonista ” “radicale”ecc.). Per favore, argomentate con precisione perchè i miei rilievi critici sarebbero sbagliati e quali sarebbero, a vostro parere, i motivi  per i quali ci si mobilità davvero solo se l’avversario sono gli USA e i suoi stretti alleati, ma niente di paragonabile avviene se le infamie sono perpetrate da soggetti, pur assai potenti a livello planetario, come Russia, Iran, Turchia ecc.

Scrivevo: “Come si spiega che contro il boia Erdogan non ci sia stata nemmeno un centesimo della mobilitazione, sacrosanta, pro-Palestina? Come mai nelle manifestazioni di piazza nazionali degli ultimi tempi a fianco dei curdi/e, quando abbiamo superato le mille presenze lo abbiamo considerato un successo? Eppure come massacratore Erdogan non ha nulla da invidiare a Netanyahu, senza manco l’alibi di una carneficina orripilante come quella perpetrata criminalmente da Hamas il 7 ottobre. E in quanto alla linearità, coerenza, trasparenza, bellezza della battaglia democratica, femminista, multiculturale, laica dei fratelli/sorelle curdi/e non c’è paragone rispetto al fascio-islamismo, al delirio teocratico, alle “guerre sante” e permanenti contro gli “infedeli”, al sessismo, alla misoginia, all’omofobia di Hamas che purtroppo egemonizza attualmente i palestinesi. Vi risulta che sia stata occupata qualche università per denunciare l’ignobile politica di Erdogan contro i curdi e per chiedere l’interruzione di ogni rapporto con le Università di Istanbul, Ankara e Smirne?”.

Caro Giovanni, mi rispondi: “Non posso che essere d’accordo con te sulla sottovalutazione che, in verità,  stiamo superando, sulla bellezza della democrazia femminista curda, sottoposta al massacro di Erdogan”. Giova, ma quando diavolo l’abbiamo superata? Tutte le manifestazioni del biennio post-pandemico ce le siamo fatte insieme: quando hai visto una crescita di partecipazione, se abbiamo sputato l’anima per superare le mille-duemila persone e più della metà erano sempre i curdi/e? E persino durante l’assedio e i massacri a Kobane e nei territori curdi hai notato qualche aula universitaria occupata, o qualche accampata degli stessi giovani che – e questo è ovviamente un bene – sono ora in mobilitazione permanente per  i palestinesi? Eppure le sofferenze dei curdi/e in questi decenni non sono state minori di quelle dei palestinesi e manco le vittime lasciate sul campo, no? E se poi parliamo delle leadership dei due popoli, ne converrai che la nostra sinistra conflittuale, giovanile o meno, dovrebbe essere in sintonia totale con quella curda (su tutti i temi, dalla democrazia all’ecologia, dal multiculturalismo laico al femminismo ecc.) e lontano anni-luce dall’orrore di un’organizzazione feroce, ultrareazionaria, ultrasessista e omofoba come Hamas che predica la guerra “santa ed eterna” non solo contro gli ebrei ma contro tutti gli ” infedeli”, con i quali – Corano dixit – “non ci potrà mai essere pace“. Un’organizzazione che ha usato i molti miliardi di dollari ricevuti da ogni parte non per il benessere dei cittadini di Gaza (che con quelle somme oggi potevano godere di un livello economico e sociale più che decente) ma per fare centinaia di km di tunnel e per comprare armi per la loro “guerra santa” per la quale, come ha detto con il più osceno cinismo il loro leader maximo Sinwar, “si possono sacrificare anche centomila palestinesi“, tanto poi in quanto martiri si godranno il paradiso di Allah.

Scrivevo poi:  Alla notizia della morte del boia e presidente-fantoccio dell’Iran Ebrahim Raisi, ho espresso la mia soddisfazione. Aggiungevo però che era gioia di breve durata, perchè in Iran c’è la fila di massacratori simil-Raisi. Ora, certo, di suo Raisi ci aveva messo molto. Nel 1988, capo della magistratura, mandò al patibolo decine di migliaia di oppositori, comunisti del Tudeh, Mojaheddin del Popolo, politici e sindacalisti “eterodossi”, oltre a tanti cittadini “comuni”: circa 30 mila persone sterminate. Recentemente, la sua carriera di massacratore si era arricchita di nuove orrende imprese, centinaia di omosessuali torturati e uccisi, migliaia di donne violentate nelle carceri e parecchie uccise, e ordini di sparare in piazza, di giustiziare nelle carceri chi aveva chiesto il ritorno dell’Iran alla democrazia, dopo 45 anni di dittatura oscurantista e teocratica. Però, quanto commesso da Raisi è in realtà impresa collettiva del regime iraniano, che ha dato ulteriore prova della propria ferocia nella barbarica repressione che ha seguito l’eroico tentativo di rivoluzione iraniana – condotta in primo luogo dalle donne – che personalmente ritengo la prima esaltante rivoluzione del femminismo mondiale. Ora la domanda che mi assilla è: come mai neanche quella mattanza ha mosso in vera solidarietà una sinistra conflittuale in grado di mobilitarsi benissimo nella difesa dei palestinesi ma assai tiepida di fronte alle mostruosità iraniane, non certo inferiori a quelle di Netanyahu? Come mai nessuno studente ha chiesto almeno di interrompere i progetti comuni delle università italiane con quella di Teheran? Come si spiega la ben tiepida reazione del transfemminismo italico durante la bestiale repressione in Iran? Come mai esso appare, in varie componenti, persino “comprensivo” nei riguardi dell’oppressione domestica islamista nei confronti delle donne velate e umiliate continuamente, arrivando addirittura, a volte, a offrire l’alibi al super-sessismo e super-machismo islamista del “dovuto rispetto delle tradizioni etniche e religiose”?

Quando parlavo di islamo-gauchisme, insomma, non mi riferivo certo alla sacrosanta mobilitazione a favore dei palestinesi, alla quale anche noi COBAS partecipiamo fin dal primo giorno (anzi, alcuni/e di noi da una sessantina di anni), ma all’aver, contro questi altri orrori, mosso ben poco in questi anni, persino durante la rivolta/rivoluzione iraniana repressa nel sangue, quando, malgrado i nostri sforzi per mettere in piedi le, purtroppo poche, manifestazioni di piazza, nessuna mobilitazione permanente si realizzò da parte di gruppi studenteschi, a nessuno dei quali passò in mente almeno di chiedere, appunto, l’interruzione delle collaborazioni con le università iraniane. Eppure le barbarie di cui si è macchiata la teocrazia iraniana non sono state certo minori di quelle di Netanyahu e, pure qui, senza neanche l’alibi di aver subito un terrificante massacro come quello del 7 ottobre. Al cui proposito – breve inciso – come avete assorbito la valutazione del 7 ottobre, data dalle organizzazioni dei Giovani palestinesi in Italia, che salutarono con soddisfazione il massacro come azione esemplare che avrebbe, come scrissero, “segnato il riscatto del popolo palestinese“? O il fatto che considerino Hamas la guida naturale di una Resistenza con la R maiuscola, senza che l’impostazione ideologica, politica, culturale ed umana di Hamas crei loro alcun imbarazzo?Per  la verità, a questa apparente schizofrenia Alfonso una spiegazione la dà ed è in linea con la mia tesi: cioè, che la maggioranza della sinistra conflittuale italiana consideri gli USA l’unico imperialismo, o almeno il principale, nemico dell’umanità e fomentatore di guerra. Solo che questo argomento lo si poteva usare alcuni decenni fa, pur se l’URSS non era da meno. Ma oggi non si può riprodurre questo errore “storico”. Se ragioniamo sulla macchina economica al fine di penetrazione mondiale, certo gli USA sono assai più potenti della Russia e se la battono casomai con la Cina, il terzo imperialismo attuale che però, almeno per il momento, nella sua espansione planetaria usa quasi esclusivamente l’elemento economico. Ma la Russia, al contrario, proprio perchè, petrolio e gas a parte, è un “nano economico”, ha un solo strumento per la propria espansione imperialistica: le armi e le guerre che usa senza risparmi, dall’aggressione alla Crimea, alla Georgia e a tutta l’Ucraina, fino all’insediamento militare in Libia, in Siria, nello Yemen, nel Darfur, in Mali e nel Corno d’Africa. Mentre, in contemporanea, gli USA hanno abbandonato, in sequenza, prima i curdi, ai quali avevano promesso sostegno permanente dopo che essi avevano sparso tanto sangue per  sconfiggere i tagliagole dell’ISIS; e poi i rivoltosi siriani e in ultimo gli afgani, sacrificati nelle mani dell’orrore talebano. E la stessa Nato, prima dell’invasione russa dell’Ucraina, non godeva di buona salute, anzi era minacciata dai trumpiani di  “taglio di viveri”. Se a questo aggiungiamo l’azione bellica permanente, direttamente o per interposte organizzazioni più o meno terroristiche, dell’Iran e la crescente aggressività militare del sub-imperialismo turco, entrambi oggi alleati della Russia, come si fa a sostenere seriamente che le uniche o principali minacce e pratiche di guerra vengano solo dagli USA e alleati? Vogliamo almeno dire da “entrambi gli imperialismi principali”, con il contorno dei sub-imperialismi legati alla Russia? E con l’aggravante per la Russia di avere per espandersi solo lo strumento bellico, data la debolezza economica?

Infine. Non credo più da anni che “la Storia è maestra di vita“, nè che abbia una qualche direzione precisa, in senso progressista o reazionario. Penso che vada dove la portano le comunità umane più potenti e influenti e che si possa, in ogni fase storica, avanzare o arretrare in materia di libertà democratica, di diritti civili e di giustizia sociale, di pace e di liberazione dalle guerre e dalla repressione politica, come abbiamo verificato, almeno con voi due, anche in questi nostri comuni 60 anni di attività politica e sociale, in Italia e nel mondo. E dunque, come scrive giustamente Enrica Tedeschi , a cui mi lega una vecchia militanza comune degli anni ’70, niente va mai dato per scontato, le vittime possono diventare carnefici e i liberatori oppressori: e non vale solo per Israele. Di sicuro, è illusorio sperare che le esperienze di una generazione servano davvero alle successive. Ogni generazione vuole sbagliare per conto proprio e gli errori e le situazioni si ripropongono spesso quasi identiche a se stesse, soprattutto in Italia, paese immutabile come pochi (e non – come pare sostenesse paradossalmente Marx – prima come tragedia e poi come farsa, visto che nelle varie epoche i due piani si intrecciano e si ripetono in contemporanea). Quindi, è probabile che non serva a molto ricordare alle nuove generazioni conflittuali che l’umanità non ha mai un unico nemico, che “i nemici dei miei nemici” possono esser orrendi e persino peggiori dei nemici originari e che non c’è dunque alcun motivo di considerarli amici o di essere indulgenti verso la loro barbarie. Però, detto francamente, ritengo che la nostra funzione nei conflitti odierni non può e non deve essere quella di “lisciare il pelo” ai nuovi confliggenti, ma piuttosto di tenere fermi analisi e ragionamenti logici e farli sostenere da fatti concreti, anche se momentaneamente questo dovesse imporre di andare, ragionevolmente e senza presunzione, controcorrente.

p.s. Scrive Roberto Giuliani: “Quanto poi alle proteste dei Campus USA, beh, ci andrei cauto a definirle anticapitaliste, viste le rette che si pagano per formare le nuove classi dirigenti, che tutto sono tranne che giovani proletari ribelli“. Sottoscrivo: sono cifrette tra gli 80 mila e i 150 mila dollari l’anno! Buona parte di loro saranno i capitalisti-guida del prossimo futuro USA e si faranno matte risate ripensando ad un passato nel quale hanno applicato la regola aurea del “chi contesta nel contesto fa carriera assai più lesto“!

Piero Bernocchi

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Alcune considerazioni che fai, caro Piero, sono interessanti e giuste, in particolare quando sollevi il tema del travisato “dovuto rispetto delle tradizioni etniche e religiose”, oggetto di un dibattito mai concluso in modo soddisfacente a sinistra, o quando te la prendi con il comunicato di Maduro. Ma non mi pare che qui siamo di fronte ad una islamofilia. Accusare la “compagneria” come la chiami con ingiustificato disprezzo di insensibilità verso altre sopraffazioni e drammi mi pare non solo ingeneroso, ma ingiusto. E’ in atto una sollevazione delle giovani generazioni dagli Usa all’Europa che ha preso come punto emergente il tema della Palestina, ma che contiene, impossibile non vederli, elementi critici verso il sistema capitalista nel suo complesso. Si tratta di embrioni, non di una consapevolezza matura, ma vanno incoraggiati, non depressi. Certo oltre la Palestina, ci sono le repressione contro i curdi – e la solidarietà attiva nei loro confronti non mi pare affatto sia assente – ma poi c’è la guerra russo-ucraina, vi è la situazione nel Sahel, la guerra dimenticata nel Sudan, la repressione nel Sud est asiatico, , il non rispetto dei diritti e delle rivendicazioni in Cina, per non parlare dell’India, vi è il drammatico quadro argentino. Esempi presi a caso, come vedi, e si potrebbe continuare su questa scia, perchè l’elenco è incompleto. Hai ragione, gli Usa non sono gli unici responsabili, ma le loro responsabilità restano enormi e riguardano il mondo intero, poiché non siamo solo di fronte all’imperialismo americano degli anni settanta ma a un capitalismo globale che poggia però la sua forza ancora prevalentemente sul sistema economico-finanziario e sull’apparato militare statunitensi. Per questo il tema della pace è il terreno concreto su cui si deve muovere un’iniziativa di lotta che abbia presente il quadro complessivo delle ingiustizie nel mondo, ma che fa bene a concentrare i propri sforzi su quei punti ove tali ingiustizia si concentrano ed esplodono. Quanto al passato, puoi stare più sereno. Non sei il solo che si è mobilitato contro i carri armati sovietici in Cecoslovacchia o la repressione in Polonia. Ma il nostro passato non giustifica la nostra debolezza odierna. Su questo – credo – siamo d’accordo.
Alfonso Gianni

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Ovviamente come portavoce italiano del Comitato per la libertà di Ocalan, funzione difficile per la quale avrei bisogno di ben altra forza ed aiuto, non posso che essere d’accordo con te sulla sottovalutazione che, in verità, stiamo superando, sulla bellezza della democrazia femminista curda, sottoposta al massacro di Erdogan. Non credo, invece, che le masse democratiche che stanno lottando contro il genocidio a Gaza pratichino islam gauchisme, ma solo richiamo alla legalità internazionale.

Giovanni Russo Spena

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Grazie Piero! Ci suggerisci sempre riflessioni acute e pertinenti. L’atteggiamento predatorio nei confronti del mondo, e quindi la vocazione imperialista, appartiene a tutti i popoli e a tutti i modelli politici, nessuno escluso. Non mi illudo più che esista un modello armonioso ed equilibrato, e comunque nessuno si salva da solo, perciò dovrebbe essere un modello globale. Non mi pare dietro l ‘angolo. Per “noi” (non sapendo più molto bene chi siamo “noi”) essere a fianco dei più deboli deve essere sempre un fatto transitorio, perché, per le vittime, passare al ruolo di carnefici è un attimo. Occorre sempre vigilare e monitorare: la tendenza insita in ogni aggregazione umana è quella del dominio sugli altri. La pratica de “il nemico del mio nemico è mio amico” ha origini preistoriche, per questo è così tenace, ma non dovrebbe fare parte della cassetta degli attrezzi della sinistra.

Non dimenticherò mai una trasmissione in diretta da Radio Città Futura, in cui con le compagne parlavamo della cacciata dello Scià in Iran come di un evento epocale che avrebbe offerto opportunità al popolo iraniano. Ci arrivò una telefonata da studentesse iraniane in Italia che smorzò i nostri ingenui entusiasmi. Le ragazze dipinsero un quadro catastrofico della situazione e la storia ha dato loro ragione. Fu una doccia fredda, mai dimenticata: da allora cerco di ragionare sui dati, cercando di individuare e rimuovere i miei preconcetti ossessivi. Oggi, in questi tempi che i nostri padri dicevano che non sarebbero mai più tornati, mi ritrovo a pensare che la Nato è una sciagura, ma che potrei incappare perfino in una sciagura peggiore.
Buon lavoro!

Enrica Tedeschi
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Concordo con le riflessioni di Enrica, purtroppo, la Storia conferma la vocazione imperiale/imperialista dei popoli. Quel che mi lascia perplesso è come sia possibile che nella sinistra non si alzi nessuna voce (tranne rare eccezioni) di condanna senza se e senza ma verso regimi teocratici, dispotici e liberticidi. Quanto poi alle proteste dei Campus USA, beh, ci andrei cauto a definirle anticapitaliste, viste le rette che si pagano per formare le nuove classi dirigenti, che tutto sono tranne che giovani proletari ribelli.


Roberto Giuliani