April 21, 2017
Piero, partiamo dagli ultimi scioperi e da quelli prossimi.
“Quello dell’8 marzo contro la violenza delle donne ha avuto nella scuola una buona partecipazione, quello del 17 contro tutti i decreti prima dell’approvazione definitiva è stato relativamente partecipato, ma significativo che gli Ata – di cui si parla poco, ma che ricevono un carico di lavoro supplementare con la nuova legge – in alcune province siano stati il doppio rispetto ai docenti. Dai decreti emerge un’ulteriore crescita del ruolo dell’Invalsi, le cui prove diventano criterio di valutazione preponderante. Come ben sanno i lettori di Orizzontescuola, questa è una cosa che noi dei Cobas abbiamo denunciato fin dall’inizio, perché mai ci ha convinti l’idea che un simile apparato fosse stato pensato solo per una funzione statistica. Dicono che a loro interessa correggere ciò che non funziona, come mai allora non ci è mai stato detto quello in cui siamo veramente carenti come sistema? E come la mettiamo con i libri di testo ‘invalsati’? E’ evidente che si rincorre una valutazione ‘oggettiva’ e che quella dell’insegnante verrà sempre più derubricata a parere personale”.
Di fatto però le prove non faranno più media all’Esame di terza media.
“Questa novità è stata tanta sbandierata dalla Ministra, ma se guardiamo bene, il ruolo delle prove è stato potenziato dal fatto che non si potrà accedere agli Esami di Stato di fine primo e secondo ciclo senza averle sostenute. Per non parlare di quello che questa tendenza sta producendo anche a livello universitario: circa la metà degli esami nei primi anni vengono fatti con i quiz, una strategia, insomma, per sformare manovalanza intellettuale flessibile e tuttofare. E la didattica si sta conformando: ti insegno ciò che è utile a passare i test.
L’altra cosa preoccupante che emerge dai decreti è la confusione massima tra potenziamento e didattica normale, in cui il primo è un modo per dire ‘fai quello che serve alla scuola’, come gli operai dell’800 non più arbitri del proprio mestiere. Ecco perché è tanto importante dare un segnale e partecipare allo sciopero per elementari, medie e materne il 3 maggio e il 9 alle superiori”.
Voi siete sempre stati molto coerenti con la vostra visione del mondo, ma non vi sembra che difendere il sacro ruolo del docente vi impedisca di mettervi in gioco in una dialettica nuova, che tiene conto anche della crisi in cui versa oggi questa figura?
“Nessun lavoro è sacro e i Cobas si sono sempre mossi a difesa della scuola, non degli interessi corporativi dei docenti. Tuttavia siamo consapevoli di promuovere scioperi a cui aderisce la minoranza dei docenti, questo prova che la parte maggioritaria ha assorbito le istanze del Governo accettando, per esempio, proprio le prove Invalsi, che mirano evidentemente a una dequalificazione del loro ruolo. È qualcosa che umanamente si può capire: all’inizio ci si sente alleggeriti, deresponsabilizzati, non è un sentire nobile, ma è diffuso. Ritorno alle similitudine con gli operai di due secoli fa: come artigiani si sentivano schiacciati dalla responsabilità e accettare che il rischio lo prendesse tutto l’industriale all’inizio sembrava una liberazione. Sappiamo bene che le cose si sono evolute poi in maniera diversa”.
Perché, però, puntare tanto sulla valutazione? Se hai un’idea socratica del mestiere dell’insegnante non è così centrale assegnare un numero a una persona.
“Quello che ci preoccupa non è chi dà il voto, ma la deformazione della didattica. Un numero impressionante di maestre elementari didatticamente valide ha modificato radicalmente il proprio modo di fare scuola per rincorrere il modello astratto elaborato dall’Invalsi”.
Se un docente modifica in maniera tanto acritica il proprio modo di lavorare forse non è poi così sicuro della sua proposta didattica.
“Dobbiamo pensare agli effetti sui grandi numeri: standardizzare significa sollecitare una didattica meno ricca e meno riflessiva”.