Ora per Giggino la definizione di Italiano Qualunque diviene fin troppo benevola
Con il mio scritto del 2 dicembre dedicato all’Italiano Qualunque Giggino Di Maio pensavo di aver detto l’essenziale sulla parabola tragicomica del Capo Politico dei 5 Stelle e vice-presidente del Consiglio e di averlo inquadrato, definendolo come Italiano Qualunque, nella sua giusta dimensione. E invece no: come si dice a Roma, “me credevo che pioveva ma no che diluviava”. Perché ieri, costringendo vigliaccamente il padre Antonio ad una umiliante confessione, Di Maio ha commesso un atto così ignobile da rendere la definizione di Italiano Qualunque assolutamente ingiusta nei confronti dei milioni di Italiani Qualunque i quali, almeno al 99%, quando pure impelagati tra imbroglietti e piccole o medie corruttele, non avrebbero mai compiuto un gesto così miserabile come quello di dare in pasto ai lupi dei mass-media il proprio padre, pur di salvare la propria carriera.
Ieri Giggino Ping Di Maio ha compiuto un disgustoso “parricidio” mediatico, inviando gli avvoltoi della Casaleggio Associati, telecamere alla mano, a costringere il padre ad un autodafè che ha ricordato, certo senza conseguenze altrettanto tragiche come in quei casi ove le confessioni finivano con il rogo o con la fucilazione, i processi dell’Inquisizione o quelli staliniani. Il poveretto, con le lacrime agli occhi, si è caricato di ogni colpa – i lavoratori in nero, la casa abusiva, il capannone idem, l’infortunio dell’operaio nascosto, i rifiuti non smaltiti – ma con il tono tragico di chi sta confessando di aver tagliato la gola poche ore prima alla moglie o aver violentato le figlie piccole. Ha tentato, senza manco convinzione, di attenuare le sue colpe sottolinenando che aveva fatto tutto ciò perché altrimenti avrebbe rischiato il fallimento e non sarebbe più riuscito a mantenere la famiglia, dove, per inciso, Giggino brillava per fancazzismo, a scuola e fuori. Nel suo eloquio stentato, a testa bassa e con le lacrime a pelle, Antonio non ha potuto dire quello che davvero pensava e che cioè questi imbrogli, non solo a Pomigliano o in Campania ma in tutta Italia, sono assolutamente comuni, “peccati” abituali per milioni di italiani ai quali piace molto sentirsi lindi e pinti ed addebitare tutte le colpe del malaffare e degli andazzi di corruttela ai soli politici.
E forse Antonio Di Maio in questi giorni avrà anche pensato, senza poterlo dire, che se si trovava a dover inghiottire merda in pubblico, ad essere sputtanato urbi et orbi, era per la “colpa” di ritrovarsi un figlio trasformato in un Torquemada, terrore dei corrotti e dei disonesti, riparatore di torti, italiano – come tutti i Five Stars, nevvero? – senza macchia e senza peccato. E senza colpa e dolo non solo come Capo Politico dei 5Stelle e viceministro, ma anche prima, anche quando, proprietario del 50% dell’azienda, non poteva non sapere come fossero i rapporti di lavoro in essa, o che la casa e i capannoni erano stati costruiti abusivamente (anche perché – confessione dei compaesani – lì intorno tutti facevano, e fanno, così). E lui non sapeva nulla? Ma di che parlavano a pranzo e a cena – si è domandato il mitico Crozza – nella famiglia Di Maio?
Il vero guaio di Antonio – che è stato ripagato dei suoi, certo illeciti, salti mortali per tirare avanti la famiglia e i tre figli con il vergognoso sputtanamento mediatico ad opera di Di Maio junior – è il fatto che il figlio, come tutta l’azienda Casaleggio Associati (quella sì con macro-illeciti fin sopra i capelli), proprio su “onestà-tà-tà” ha costruito le proprie fortune, sull’essere lui e i suoi gli unici italiani/e santi e immacolati in un mondo di peccatori. Ed è proprio questa sciagurata, arrogante e megalomane ideologia che ha spinto Di Maio ad un così rivoltante “parricidio” massmediatico. Perché al confronto persino Renzi e Boschi, pur colpevoli di tante e varie malefatte, una schifezza così miserabile non l’hanno fatta, non hanno dato i genitori in pasto al ludibrio pubblico, pur di salvare la ghirba, malgrado ben sapessero che avrebbero pagato come hanno pagato, venendo bersagliati da una campagna massmediatica martellante e lunghissima guidata da Giggino e company.
Ora, fermo restando che sul piano politico non c’è di sicuro colpa più grande per Di Maio e il suo partito di quella di aver portato il pericolosissimo fascistume razzista e forcaiolo di Salvini al governo e al potere, come mai il Truce sarebbe riuscito a fare con i propri mezzi, sul piano umano, invece, la vendita del proprio padre al più pesante degli sputtanamenti pubblici mi pare la colpa più irredimibile che si possa attribuire al Capo Politico dei 5Stelle e vicepresidente del Consiglio. Le cui dimissioni per assoluta cialtroneria e incapacità politica sarebbero doverose e obbligate in qualsiasi altro paese europeo, ma non arriveranno. Nel frattempo Di Maio junior delle dimissioni le ha date, e mi sembrano le più vergognose: si è dimesso da figlio.
Piero Bernocchi