Nonostante la pandemia, nonostante le attività scolastiche siano state svolte con quel surrogato di cattiva qualità che è la DAD o abbiano proceduto a singhiozzo e in condizioni tutt’altro che normali (continue quarantene di docenti e studenti), il rito dei quiz Invalsi continua anche nell’anno della pandemia. Il Ministero ha cancellato le prove dalle classi seconde delle superiori, ma ha deciso di mantenerle alla primaria, alle medie e in quinta alle superiori. Abbiamo dovuto assistere a studenti prima lasciati in DAD per un anno e mezzo e poi richiamati in presenza solo per svolgere i quiz evidentemente ritenuti dal Ministero molto più importanti della didattica quotidiana.
Si tratta di accanimento terapeutico per tenere in vita uno strumento che ormai è chiaro a tutti non ha nessun impatto sul miglioramento della qualità della scuola, anzi, come da anni sosteniamo, la ricaduta è del tutto negativa: l’Invalsi è pericoloso perché spinge all’addestramento ai quiz e molte ore di buona didattica vengono sostituite con allenamenti al superamento delle prove; così oggi, mentre abbiamo bambini e bambine della seconda elementare che ancora non hanno imparato a scrivere, si chiede alle maestre di sospendere l’attività e di dirottarla sull’addestramento ai quiz. Una miopia, una distanza dal mondo reale della scuola da parte del Ministero che supera ogni immaginazione. Cosa diranno mai le prove Invalsi che già non si sappia? Che gli studenti sono indietro con gli apprendimenti? Che il divario degli apprendimenti si è ulteriormente allargato in corrispondenza al contesto sociale e culturale delle famiglie di provenienza?
Eppure anche quest’anno dei soldi pubblici vengono buttati nel carrozzone Invalsi, che deve continuare perché è uno dei pilastri dell’idea di scuola che al MIUR hanno da anni e che ben interpreta il ministro Bianchi: si tratta di una scuola il cui compito principale è quello di sviluppare competenze di tipo addestrativo, saper fare decontestualizzati, da acquisire e dismettere rapidamente, come accade per il lavoro precario, privo di diritti su cui puntano da decenni le imprese italiane. Invece, la scuola deve puntare a valorizzare la curiosità e il dubbio, a sostituire la risposta chiusa preconfezionata con la domanda aperta che genera confronto, attitudine critica, apertura sulla complessità; deve puntare ad includere e a potenziare quelle capacità creative e comunicativo-relazionali che l’Invalsi estromette a priori dal proprio campo di indagine perché non quantificabili e non misurabili. Abbiamo bisogno di liberare la didattica dai quiz e abbiamo bisogno di liberare la scuola dall’Invalsi perché la sua presenza è sempre più diffusa ad ogni livello organizzativo, da ultimo quello della gestione del piano di formazione obbligatorio sulla didattica digitale verso cui il nuovo Ministro vuole sciaguratamente traghettarcie che pare essere alla base del nuovo progetto di differenziazione della carriera docente che sicuramente premierà quei docenti che saranno maggiormente disposti a sposare le sorti progressive della scuola digitale.
Per questo scioperiamo il 6 maggio nella scuola primaria in concomitanza con una delle giornate di somministrazione dei quiz Invalsi, in continuità con una battaglia storica dei Cobas, che abbiamo condotto quasi sempre da soli nel panorama sindacale. Vogliamo che la scuola post pandemia non sia quella che abbiamo lasciato perché solo una scuola pubblica di qualità è garanzia di cittadinanza democratica e il virus deve essere l’occasione per rilanciarla, non per finire di distruggerla.
No al carrozzone Invalsi, no allo spreco di risorse che drena. Sì all’abolizione dei quiz Invalsi, all’uso del Recovery Plan per la riduzione del numero di alunni per classe, la stabilizzazione dei precari e gli interventi urgenti sull’edilizia scolastica.
Oltre a scioperare, invitiamo, laddove è possibile, a costruire lezioni alternative in piazza per ribadire che la scuola che vogliamo è radicalmente diversa da quella incarnata dai quiz.
Esecutivo nazionale COBAS – Comitati di base della Scuola