All’avvento del governo Meloni prevedemmo che l’ultradestra avrebbe puntato, per mantenersi al potere e accrescerlo, su tre elementi: 1) una visione del mondo, una lettura della realtà e una proposta di “cultura collettiva” basate su un impianto ideologico fascistoide, imperniato sull’identità bianca, occidentale, patriarcale, su un integralismo religioso reazionario, con il culto della “stirpe”, dell’etnia italica originaria, della famiglia tradizionale a dominanza maschile ed eterosessuale, ostile ai migranti, alla comunità LGBTQ e ai “diversi” per stile di vita e costumi; 2) su un controllo ferreo, ben superiore a quello dei precedenti governi, sull’intero apparato massmediatico, non solo guidandone l’indirizzo politico, ma permeandone tutte le esternazioni culturali, ideologiche, di sistema di vita; ed estendendo questo controllo anche alla scuola, come luogo di formazione delle giovani menti, recuperando l’importanza di tale controllo, che invece i precedenti governi avevano in genere ignorato o sottostimato; 3) una generale politica di legge ed ordine che stabilisse il primato dell'”uomo forte” (in questo caso in vesti femminili, e perciò persino più dirompente, affidando la soluzione dei più spinosi problemi sociali ed economici all’intervento poliziesco e della magistratura, con conseguente indurimento delle pene e della carcerazione.
Se i pochi mesi di vita del governo Meloni hanno confermato appieno le previsioni, mostrandoci in maniera plateale il ricorso ai due primi punti programmatici citati, in assenza non solo di una rilevante opposizione sociale ma anche di un qualche calo di popolarità e di consenso del governo, solo nelle ultime settimane abbiamo potuto comprendere appieno quanto, sul tema legge ed ordine, si sia, in pochissimo tempo, dispiegato il florilegio della centralità dei delitti e delle pene, con una sorta di particolare delirio delle pene, che va ben oltre il sentore e la consapevolezza comuni sul tema. Per rendersene conto, mi pare utile mostrare gli sconcertanti dati, immagino noti solo agli addetti ai lavori, della valanga di aumenti di pena per i più svariati reati messi in opera in pochi mesi dal governo Meloni, già approvati o in via di approvazione, nonché l’invenzione di nuovi reati puniti con la carcerazione. Con due avvertenze: a) le cifre si riferiscono non ai nuovi massimali di pena per i singoli reati ma all’aumento di tali massimali; b) attenzione a non farsi fuorviare dalla odiosità di alcuni reati per i quali può venire l’impulso di dire “bene così, i mascalzoni che li fanno ‘sti reati si meritano pene più pesanti” perché qui è il dato generale e il senso dell’intero processo a contare e non i singoli casi.
Dunque: 1) per i cosiddetti “rave illegali” le pene massime aumentano fino a sei anni; 2) per il “reato di gestazione per altri”, aumenti di pena di due anni; 3) per l'”omicidio nautico” (boh?) aumenti fino a dieci anni; 4) per l’occupazione abusiva di immobili aumenti di due anni; 5) per gli incendi boschivi, aumenti fino a sei anni; 6) per “istigazione all’anoressia” (doppio boh?) si vuole introdurre (finora non esisteva) il reato con una pena fino a quattro anni; 7) “muri imbrattati”, altro nuovo reato da punire con un anno di carcere; 8) acquisto di merce contraffatta, proposte pene fino ad un anno; 9) truffa ai danni di soggetti minori o anziani, altra new entry, pene fino a sei anni; 10) traffico di migranti, aumenti addirittura fino a trenta anni, ad un passo dall’ergastolo; 11) violenza di genere aumenti di pena fino a cinque anni; 12) violenza contro il personale sanitario, aumenti di un terzo delle attuali pene; 13) violenze contro il personale scolastico, aumenti fino a sette anni. C’è poi il capitolo appena aperto, sull’onda dell’uccisone a Napoli del sedicenne musicista da parte di un diciassettenne, del “decreto Caivano” contro la delinquenza minorile (le “baby gang”), con l’agghiacciante indicazione generale di Salvini per cui un reato che sia compiuto da un cinquantenne o da un ragazzino di 14 anni va punito nello stesso modo, e i cui punti si stanno definendo in questi giorni dopo il decreto emanato dal governo. E che prevede, sull’onda della “filosofia salviniana” del reato, intanto l’aumento delle pene per spaccio di cinque anni (le galere sono stracolme già ora di piccoli spacciatori), l’aumento di pena per i genitori che non mandano i figli a scuola di due anni, il DASPO (divieto di frequentare certi ambienti o anche il paese ove abitualmente si vive, mandati al “confino”) per una vasta serie di reati minori “giovanili”, il divieto di usare cellulari o computer ecc.
Questo impressionante elenco riguarda tutti gli aumenti di pena già approvati dal governo e quelli (con i reati inventati ex-novo) in via di approvazione in soli dieci mesi di attività governativa. L’aumento complessivo di anni di carcere minaccia di superare la quota di 100 anni. Con un meccanismo operativo così semplice da funzionare quasi fosse indolore: c’è un fatto di cronaca, più o meno turpe, che attira l’attenzione generale grazie al fatto che le TV ad indirizzo meloniano e quasi tutti i quotidiani stanno aumentando a dismisura lo spazio per la cronaca nera dando l’impressione di un aumento a valanga dei reati (mentre qualche giorno fa il Ministero degli Interni ha emanato i dati dei reati del 2022, paragonati con quelli di 5 e 10 anni fa, dimostrando che tutti, ma proprio tutti i reati, tranne purtroppo quello di violenza “domestica” sulle donne, sono in diminuzione, persino vistosa per alcuni), e il governo interviene dimostrando di “stare sul pezzo”, e come unica risoluzione di problemi che investono la complessità sociale ed economica dei contesti delinquenziali, propone il delirio delle pene e il loro aumento come panacea.
In questa scalata securitaria del law and order, il governo Meloni ottiene numerosi vantaggi: a) fa passare in secondo piano l’impotenza e/o la negatività della propria politica economica e sociale; b) mostra di essere quel “governo forte” tanto invocato da gran parte dell’italica gente; c) mette all’angolo l’opposizione, incapace di opporsi temendo di sentirsi addebitare l’accusa di essere complice di reati più o meno odiosi; d) e infine, Meloni ottiene grande visibilità mediatica senza dover investire risorse per “affrontare alla radice i mali sociali via via emergenti, delegando al potere giudiziario il compito di trattarli secondo i paradigmi delle colpe e dei castighi individuali (Giovanni Fiandaca, professore di Diritto penale all’Università di Palermo e già Garante dei detenuti siciliani)”.
In tutto questo, l’aspetto più preoccupante mi pare la pervasività con cui questa visione fascistoide sta filtrando in tutta la società, anche in settori di generica “sinistra”: ove si diffonde una del tutto immotivata ansia per il presunto vistoso aumento della criminalità. Piccola annotazione personale: mi ha colpito sentire dire, qualche giorno fa, da una simpatizzante del PD di Schlein in una riunione a Firenze che girare in città di notte è pericolosissimo, per cui figli e amici dei figli vengono accompagnati e ripresi anche ad orari impossibili di notte dai genitori. E in termini più generali mi sorprende vieppiù la voluttà con cui vengono prodotti e seguiti a livello di massa i programmi TV sulla criminalità e la valanga di articoli di cronaca “nera” nei giornali mainstream, a monito del fatto che i “decreti Caivano” et similia sono possibili anche perché c’è tanta gente che, ancor più a causa del martellamento permanente di segnali criminogeni da parte dei mass-media, tali deliri di pene auspica, incoraggia, richiede e infine accetta.
Peraltro l’incrudimento di reati e pene e la delega ingigantita alla Magistratura fingono di ignorare che, stante il numero dei magistrati già insufficiente a gestire i reati esistenti (carenza che è aggravata ed è, al tempo stesso, la causa principale della lentezza dei processi), il nuovo carico di reati metterà ancora più in crisi tale sistema, rendendo inoperativo l’aggravio stesso delle pene; e in tale contesto aumenteranno i caratteri da giustizia di classe, perchè chi ha soldi per un buon avvocato riuscirà più facilmente a raggiungere l’obiettivo non tanto di dimostrare innocenza, quanto di far scattare la prescrizione. Così come si nasconde la pur ben nota realtà di un sistema penitenziario già al collasso, laddove al 31 luglio 2023 nei 189 istituti di pena i detenuti presenti risultano 57.749 (di cui 18044 stranieri) e il Garante nazionale per i diritti dei detenuti/e Mauro Palma ha denunciato con forza che i detenuti sono 10 mila in più della capienza e circa 9 mila sono quelli per i quali si potrebbero attivare le previste misure alternative, che andrebbero rese via via sempre più sostitutive della carcerazione, tramite una generale depenalizzazione e “de-carcerazione” già di una buona parte degli attuali detenuti/e, piuttosto che ingigantirne il numero e le pene.
Comunque, è pure molto importante sottolineare che di questo intero sistema di bulimia delle pene e di esaltazione della demagogia legge, ordine e attività repressiva è parte integrante l’aumento della invadenza delle forze in divisa nella società, dall’ulteriore aumento della spesa militare alla costruzione di nuova basi Nato e di nuove armi, sull’onda dell’invasione russa dell’Ucraina e della feroce guerra conseguente (processi avviati dal precedente governo Draghi ma cavalcati da Meloni con indubbio entusiasmo), fino all’esaltazione del più diffuso ruolo militare e in generale delle “forze in divisa” (Esercito, Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanzia, Polizia penitenziaria) nella società. E con particolare insistenza nella scuola, ove l’invadenza dell’Esercito e delle “forze in divisa” aumenta, seppure in maniera differenziata (decisamente più significativa nelle regioni a forte presenza di basi militari, Toscana, Sicilia, Sardegna). La denuncia e l’opposizione a tale invadenza devono essere decise e diffuse, tenendole però collegate all’intera politica di legge e ordine, e soprattutto non limitandosi ad osservare e denunciare on-line tale invadenza ma facendo conflitto nelle scuole ove essa, vuoi da parte dell’Esercito, vuoi da parte delle altre “forze in divisa”, opera anche esondando e divenendo operativa pure all’esterno, con operazioni di infiltrazione, di quello che chiamerei il pensiero in divisa, dalla scuola alla società e viceversa.
Piero Bernocchi