TOPSHOT - A Shiite Muslim pilgrim holds up a picture of Iranian supreme leader Ayatollah Ali Khamenei (R), Iran's late founder of the Islamic Republic Ayatollah Ruhollah Khomeini (C), and the head of Lebanon's militant Shiite Muslim movement Hezbollah, Hassan Nasrallah, during a break in Najaf on their way to the shrine central city of Karbala on December 9, 2014 where they take part in the Arbaeen religious festival which marks the 40th day after Ashura which commemorates the seventh century killing of Prophet Mohammed's grandson, Imam Hussein. In addition to the millions of Shiite devotees who flock to Karbala, some of them on foot, from across Iraq, a large contingent of Iranians traditionally make the trip. AFP PHOTO / HAIDAR HAMDANI (Photo by HAIDAR HAMDANI / AFP) (Photo by HAIDAR HAMDANI/AFP via Getty Images)

Francamente alcuni temi e nodi del dibattito nazionale e internazionale odierno, a proposito della guerra israelo-palestinese, non mi appassionano, trovandoli del tutto “inestricabili” e soprattutto ritenendone inutile anche una ipotetica risoluzione: ad esempio, la furiosa disputa su cosa sia stato e sia attualmente il sionismo. E’ di certo una discussione complessa, accademicamente fertile visto che ci sono decine di libri, più o meno interessanti o “decisivi”, sull’argomento. Ma del tutto improduttiva, dato che dovrebbe essere di conoscenza  comune che c’è stato un sionismo “di sinistra” (quello dei kibbutz “socialisti” per sintetizzare) e uno opposto, fascistoide, particolarmente messo in mostra in questi mesi da Netanyahu e dalla teppaglia che riesce a stare persino alla sua destra: e nessuna delle due varianti può vantare il copyright sul termine. Così come mi pare per nulla proficuo discettare sul termine opposto, l’antisionismo, dato che, dai fatti che si susseguono a livello mondiale, appare altrettanto evidente che ci sono antisionisti “genuini” e non anti-giudaici, e antisionisti fasulli (e di questi in giro per il mondo ultimamente se ne vedono parecchi e spesso insospettabili fino a ieri) che usano il termine per mascherare il proprio odio anti-ebraico tout court

Altra discussione che mi pare del tutto accademica e non risolutiva di alcunchè, è quella intorno al “diritto storico al ritorno” degli ebrei in Palestina. Volendolo affrontare sul piano della discettazione epocale, il problema appare intricato e complesso: e gli excursus storici tentati al proposito da varie parti in questi mesi sono serviti solo a dimostrare l’inafferabilità e la sostanziale “non decisività” di ogni argomentazione in merito. Però, sempre a mio modesto parere, trattasi soprattutto di un inutile dibattere, perchè la legittimità del proprio Stato Israele non l’ha ricevuta per “meriti storici pregressi”, cioè in base a quanto accaduto un paio di migliaia di anni fa, ma da una risoluzione delle Nazioni Unite che decisero a stragrande maggioranza che una parte di Palestina doveva diventare lo Stato d’Israele.  I primi due paesi a riconoscere lo Stato israeliano, tanto per esemplificare il grado di consenso  universale ottenuto su tale decisione, furono gli USA e l’URSS, pur frontalmente ostili a livello globale: e l’Unione sovietica inviò anche armi quando nel 1948 gli Stati arabi che non accettavano la decisione dell’Onu mossero guerra a Israele. L’ONU e la quasi totalità delle nazioni dell’epoca non lo fecero certo perché ispirati dall’Antico Testamento ma perché non solo l’Occidente ma quasi tutto il mondo sapevano che l’Olocausto l’avevano messo in opera i tedeschi ma l’anti-giudaismo aveva infettato per tanti secoli quasi tutti i paesi e l’Olocausto ne era stato in definitiva la summa e l’orrenda “apoteosi”. E dunque, assegnare una nazione agli ebrei, che non ne avevano mai avuta una (e di questo venivano storicamente accusati, cioè di non identificarsi con nessuna nazione), era un tentativo di cancellare un plurisecolare e universale senso di colpa: e certo non potevano mettere una nazione ebraica in Baviera o nella Renania o Sassonia, cioè in casa dei loro più grandi massacratori. Insomma, la scelta della Palestina non fu dovuta all’acquisizione corale dell’Antico Testamento come verità storica ma semplicemente al fatto che all’epoca non esisteva alcuno Stato palestinese, che gli arabi di quelle zone erano divisi in comunità ristrette, diverse per etnie o costumi, e che agli Stati arabi vicini non passava manco per la capa di permettere la creazione di uno Stato palestinese, visto che ognuno di essi intendeva prendersi un pezzo di quella terra: tant’è che nel 1948 furono loro ad aprire le ostilità belliche contro il neonato Stato.

Ma, oltre a queste considerazioni generali, l’ulteriore e prevalente ragione per cui a tutto ciò dedico poco o nullo interesse è il fatto che ciò che più mi sta a cuore, qui ed ora, riguarda quello su cui si può realmente intervenire, e in particolare il tema che al momento mi sembra il vero vulnus a sinistra (che non è certo la scarsa mobiltazione pro-Palestina che è anzi decisamente adeguata, senza precedenti e senza eguali nè per i curdi, nè per i siriani, nè contro Erdogan, nè contro i boia iraniani ecc.): e cioè la progressiva penetrazione dell’islamismo jihadista (che, semplificando, possiamo tradurre “islamismo della Guerra santa“) a sinistra (comunque intesa) a livello internazionale, a partire dagli Stati Uniti e dalle sue università più prestigiose e più ricche. Sull’argomento ho già scritto alcuni articoli negli ultimi tempi e il più recente ed organico l’ho  pubblicato qualche giorno fa sul mio sito (Propaganda islamista nelle università e islamofiliawww.pierobernocchi.it).

Però, a potenziare queste mie preoccupazioni nell’ultima settimana e a motivare questo mio nuovo scritto, sono giunte la settimana scorsa le parole (pubblicate nel suo account X, ex-Twitter) di Alì Khamenei, la autodefinitasi Guida Suprema dell’Iran, rivolte agli studenti statunitensi delle università più famose e più danarose: “Cari studenti universitari negli Stati Uniti d’America, questo messaggio è un’espressione della nostra empatia e solidarietà con voi. Siete dalla parte giusta della storia, avete formato un nuovo ramo del Fronte di resistenza, avete iniziato una lotta onorevole contro la spietata repressione del vostro governo che sostiene apertamente i sionisti… Il mio consiglio per voi è di acquisire familiarità con il Corano“. Nudo e crudo: più chiaro di così?! Pensate quanto possa aver fatto piacere questa comunanza di intenti, tra il boia numero 1 iraniano e gli studenti USA che inneggiano ad Hamas e ai suoi sponsor, ad uno studente iraniano che sente parlare di “spietata repressione” nei campus USA, dopo aver visto quella, essa sì davvero spietata e orripilante, di centinaia di suoi colleghi massacrati, torturati e impiccati ad una gru per aver pacificamente manifestato contro la mostruosa dittatura degli ayatollah; o ad una giovane donna che ha visto fare la stessa fine a tante sue coetanee perchè non indossavano il velo o non lo portavano correttamente; o ad un gay, lesbica o trans che ha nella mente il ricordo di quanti delle proprie comunità sono stati negli anni scorsi addirittura fatti/e a pezzi per le loro preferenze sessuali e affettive. Ebbene, dalle università statunitensi della Ivy League non è uscito nè un rigo nè un fiato per rimandare al mittente “la solidarietà e l’empatia” di un tale boia planetario, quasi che, anzi, fosse arrivato agli studenti in lotta un incoraggiamento e un apprezzamento da un leader politico mondiale di elevata e universalmente riconosciuta caratura politica, intellettuale e morale. Il quale, quindi, può legittimamente sperare che “acquisire familiarità con il Corano” da parte delle future leadership della società USA, darà ancor ben maggiori soddisfazioni alla mostruosa teocrazia iraniana e ai suoi “sottoposti” in giro per il mondo.

Piero Bernocchi