A mio parere, stanno circolando interpretazioni dei risultati delle elezioni europee decisamente affrettate e/o eccessivamente semplificatorie davanti ad una situazione che invece ha riservato anche sorprese non irrilevanti, che richiedono una lettura ponderata e approfondita, tanto più in presenza di alcune valutazioni del tutto ideologiche e strumentali, usate per dimostrare tesi che non hanno affatto ricevuto dalle elezioni una legittimazione acclarata, anzi, vi sono state per lo più smentite.
1) In primo luogo, bisogna intendersi sulla portata, qualità e quantità dell’avanzamento – ritenuto dai più il segno globale più rilevante di queste Europee – delle ultra-destre, e ancor più sui perché di tale eventuale avanzata. Innanzitutto, la quantità generale di tale crescita è decisamente inferiore alle previsioni dei più e, con l’eccezione francese, non appare perturbante degli equilibri politici europei. Certo, il giudizio è fortemente influenzato dal risultato francese e, seppur a mio avviso con una portata minore, da quello tedesco (l’AfD era già arrivato in precedenti elezioni nazionali al 14%, la notizia vera è il crollo dei partiti di governo). Ma, ragionando su scala europea globale, alla fin fine i due schieramenti dell’ultra-destra (ECR e ID) rispetto alle precedenti elezioni non registrano alcun avanzamento, anzi: nel 2019 ID ottenne 73 seggi e ECR 62, oggi c’è stato il sorpasso con ECR a 73 e ID a 58, ma nell’insieme addirittura 4 seggi in meno, anche se ci andrebbe sommato il numero di seggi della AFD tedesca, espulsa da ID; insomma, ben lontani dagli sfracelli che sembravano annunciare le trombe della destra estrema europea. Quindi, per quel che riguarda l’incidenza diretta sul Parlamento europeo (altro è ragionare sul peso che avrà una Francia nettamente orientata a destra, cosa che verificheremo nelle elezioni nazionali anticipate di fine giugno), essa, almeno sul piano numerico, appare pressoché irrilevante. Le tre componenti della cosiddetta “maggioranza Ursula” superano i 400 seggi e possono gestire il Parlamento più o meno come fatto finora, e persino ottenere un seppur complicato appoggio esterno da parte di ECR o dalla parte di essa più “fedele” a Meloni.
2) In ogni caso, al di là del peso specifico di tale avanzata a destra, nel merito delle motivazioni che avrebbero determinato tale crescita, sta circolando un dato di analisi che è al contempo superficiale e strumentale (oltre che sponsorizzato dai propagandisti russi ed europei di Putin): e cioè che ha perso chi ha sostenuto la difesa dell’Ucraina e hanno vinto i partiti “pacifisti” e/o anti-Ucraina. In realtà, guardando i dati principali, si nota che casomai è successo quasi sempre il contrario. Poiché il dito accusatorio è puntato (con i putiniani in prima fila) contro Macron e Scholz, sarà bene sottolineare come in realtà nessuno dei due abbia perso (perlomeno, non soprattutto) per aver sostenuto l’Ucraina. Macron da tempo era crollato nel sostegno popolare, e non già per la posizione sull’Ucraina (anche se le sue ultime uscite sono state decisamente insopportabili) ma per la sua politica economica anti-sociale, che ha avuto il culmine nell’imposizione dello sciagurato “pacchetto” pensionistico. Da tempo Macron era sceso ben sotto il 20% nei sondaggi: e tra le motivazioni di tale crollo le questioni economico/sociali sono sempre state dirimenti. Senza contare poi che, per più di un anno, Macron si è distinto nel panorama europeo per la volontà di dialogo, a volte persino ridicola, con Putin. Qualcosa di simile si può dire di Scholz: grande incapacità gestionale dal punto di vista delle politiche economiche e sociali e peraltro grande indecisione e confusione anche sul sostegno all’Ucraina, offerto in modo altalenante e a corrente alternata.
3) Poi, uscendo dal binomio Francia-Germania, va segnalato come la gran parte dell’ultradestra non si sia affatto giocata la carta del pacifismo, né dato centralità alle guerre in corso. Le Pen e Bardella hanno parlato il meno possibile di guerra, di Ucraina e Russia (stante pure la cattiva coscienza per il passato sostegno a Putin) o di Palestina e Israele; lo stesso ha fatto Vox in Spagna e gli austriaci del FPOE. E, per quel che riguarda l’Italia, Meloni è stata addirittura la più strenua sostenitrice (con ben più continuità e decisione di Macron e Scholz) dell’Ucraina e di Israele ed è stata premiata con una avanzata di tre punti percentuali rispetto alle politiche, da tutti i commentatori imprevista e, unico caso europeo di un partito al governo, dopo aver dovuto navigare per quasi due anni in mezzo ad una fase tempestosa, dovendo tamponare in continuazione la catena di autogol del suo miserabile e cialtronesco entourage; e analogo successo,seppur numericamente più contenuto, è spettato alla Forza Italia di Tajani, in primissima fila nell’impegno italiano a favore dell’Ucraina; mentre Salvini, che si è giocato pesantemente la carta “pacifista”, è stato salvato dall’incredibile Vannacci che con i sui 530 mila voti (sui due milioni totali di votanti per la Lega) gli ha evitato la catastrofe di un 6-7% finale. Se poi guardiamo nel campo “pacifista” di centrosinistra (non riesco a considerare di sinistra il M5S), vediamo che l’ultra-“pacifinto” Conte ha registrato la più netta sconfitta tra i partiti italiani, perdendo più del 30% rispetto alle politiche e ai sondaggi pre-voto; mentre Santoro, che ha condotto una campagna elettorale parlando solo di “pace”, e imbarcando una caterva di putiniani e odiatori dell’Ucraina, ha preso la solita batosta che queste liste improvvisate a pochi mesi dalle elezioni (a cui puntualmente dà, con pervicacia inusitata, il sangue il PRC, dovendosi pure nascondere come tale, di solito, mentre raccoglie le firme per tutti/e) ricevono puntualmente, bloccandosi su un povero 2%, malgrado la acclarata notorietà ed esposizione mediatica del megalomane ed autocentrato ex-protagonista pluridecennale dei talk show. E persino nel PD, peraltro comunque impegnato nel sostegno bellico all’Ucraina, a prendere i voti seri ci hanno pensato i Decaro, i Bonaccini, i Nardella, i Ricci, i Gori (e alcuni di loro come Decaro, più di 500 mila, o Bonaccini, circa 400 mila,con preferenze nettamente superiori a quelle della Schlein) mentre l’ultra-“pacifista” dell’ultima ora, Tarquinio, che chiedeva persino lo scioglimento della Nato, ha ricevuto ben pochi consensi ed è stato eletto per poche decine di voti in più della Morani. Non cito AVS perchè mi pare acclarato che il salto quantitativo non sia dipeso dalle posizioni sulla guerra ma da un fattore fino a ieri imprevedibile, e cioè la capacità di Nicola Fratoianni (ex-giovanotto già sveglio all’inizio del secolo, quando fu l’unico della “nidiata” bertinottiana nel movimento no-global a capire come muoversi nella politique politicienne) di cogliere al volo la straordinaria risorsa Salis (175 mila preferenze) e quella, certo minore ma sempre di rilievo, di Mimmo Lucano, (con un buon 30% di voti ad personam per i due, sul totale del 6,7%), arrivati sia dal M5S sia da giovani al primo voto e pure dal tradizionale astensionismo di tanta parte della “compagneria storica”. Ultimo dato chiarificatore in questo senso è il risultato francese a sinistra. Il sorprendente Glucksmann (figlio del noto “ex-nouveau philosophe” d’antan), che ha fatto resuscitare il partito socialista, ha tenuto una linea filoucraina costante e, pur attaccando Netanyahu, ha riservato analoghi attacchi ad Hamas, all’islamismo jihadista e ai dittatori iraniani. E pur “assaltato” frontalmente da Melanchon, che gli ha dedicato una campagna elettorale ostile ad personam, tacciandolo di “guerrafondaio” e “sionista”, ha raggiunto un sorprendente 14%, lasciando al palo Melanchon, ostile al sostegno all’Ucraina e assai indulgente nei confronti dell’islamismo radicale, il quale, con la sua France insoumise, ha superato di poco la metà dei voti del PS (circa l’8%). E infine, se serve un dato matematico che dovrebbe chiudere l’argomento, basta un calcolo elementare sui seggi del nuovo Parlamento europeo: i gruppi parlamentari che sostengono l’Ucraina e si oppongono all’invasione russa sono il PPE (191 seggi), Socialisti e Democratici (135 seggi), Renew (83 seggi), Verdi (53 seggi), ECR (71 seggi), per un totale di 533 seggi su 720. Insomma, non pare che Putin abbia troppo da festeggiare per il tonfo di Macron e Scholz.
4) Un’ altra vistosa sorpresa – a mio giudizio in prospettiva, e per le conseguenze che potrà avere, forse persino la maggiore di queste elezioni – assai poco considerata nei primi commenti, forse per imbarazzo dopo un triennio di esaltazione del climatismo “millenarista” alla Greta Thumberg, è stata quella di dover verificare come le questioni climatiche-ambientali, che avrebbero dovuto favorire una significativa ascesa verde, abbiano invece avuto per lo più effetto contrario. Quello che davvero in pochissimi avevano notato fino a ieri è che gran parte della destra europea come argomento-chiave in queste elezioni, dopo il sovranismo e gli allarmi securitari e antimigranti, ha dato massimo rilievo all’opposizione al “green deal” e cioè ad una forte messa in discussione di una trasformazione energetica accusata di imporre altissimi costi e una forte ricaduta depressiva sugli equilibri industriali e sociali. In altri termini, la destra radicale si è schierata quasi ovunque per bloccare significative trasformazioni in materia di approvvigionamento energetico, di fonti rinnovabili e di prezzi, considerati troppo onerosi, da pagare per varie categorie industriali e sociali: più o meno quello che Trump sta predicando da anni e che sarà uno dei principali cavalli di battaglia della sua campagna elettorale per novembre. Ebbene, tale propaganda ha pagato a destra, mentre ha penalizzato in maniera sorprendente i Verdi a livello europeo, il cui gruppo a Bruxelles registra una perdita netta di 20 seggi, circa il 25%.
5) E veniamo al voto in Italia. A vincere nettamente (a parte l’exploit circostanziato di AVS) sono stati i due partiti maggiori, che riavviano una sorta di neo-bipolarismo (seppur con un polo ben assestato a destra e un altro ancora assai aleatorio a sinistra). FdI, che guadagna 3 punti rispetto alle elezioni nazionali, è una sorpresa, sia perché nessun partito che ha governato in questi anni in Europa è avanzato, sia per i tanti incidenti di percorso che la feccia che circonda Meloni ha messo sulla groppa della leader, che pur tuttavia ha tenuto pressochè da sola, pur penalizzata dalla sciagurata genia fascistoide di cui si è circondata. La giovanotta ha indubbia abilità dialettica e solido mestiere politicante, sa diveggiare e gestire ogni strumento comunicativo; e tutto ciò le deriva, a mio parere, da qualcosa che nessuno/a dei suoi competitor possiede: cioè, l’esperienza di chi fa, dall’età di 14 anni, politica nei movimenti e organizzazioni di estrema destra, con l’allenamento alla piazza, al dialogo continuo con pezzi di società, oltre ad un talento istrionico naturale che è andata via via affinando. Abilità che personalmente non vedo in Schlein, l’altra vincitrice con il PD di queste elezioni italiche, che però ha avuto il merito di tenere tutti insiemi i pezzi del “puzzle PD”, non dando seguito alle “sparate” iniziali contro quelli che chiamava i “cacicchi” del PD e che annunciava di voler emarginare. Salvo poi venir costretta a capire che la vera forza del PD, che lo rende partito governativo di fatto, è proprio quella rete fittissima di amministratori locali, comunali e regionali che al dunque, se ben motivati, portano voti a valanga non solo a livello locale ma anche a livello nazionale: con un Decaro che spopola a Sud con il suo bottino di mezzo milione di voti (più del doppio di Schlein che per giunta gareggiava in due circoscrizioni) o Bonaccini con i suoi 400 mila voti, sempre in una sola circoscrizione, e gli altri già citati, tutti sopra le duecentomila preferenze. In quanto a Salvini, è l’altro sconfitto sostanziale, oltre Conte, tra i partiti maggiori. Certo, ha salvato per ora la pelle, ma solo massacrando la sua base strutturale, quella nordico-autonomista che aveva prodotto anch’essa uno stuolo di amministratori non irrilevante, e che ha pagato pesantemente l’aperta scelta fascistoide di quel Vannacci che di suo ha preso più di un quarto dei voti della Lega ma annichilendo i nordisti della Lega storica bossiana: al punto che il Veneto, regno storico leghista, ha prodotto la più grande avanzata di sempre di FdI, con i meloniani che hanno sfondato la barriera del 37%, riducendo ai minimi termini la “Lega degli amministratori”.
6) Degli altri sconfitti minori, dei “due capponi di Renzo“, come qualcuno li ha brillantemente definiti, visto che hanno continuato a beccarsi per tutta la campagna elettorale e non hanno smesso manco dopo, cioè Renzi e Calenda, non varrebbe la pena manco parlare, se non – oltre che per esternare il nostro disprezzo per i due più megalomani, narcisisti e solipsisti personaggi della politica italiana – per aggiungere che la loro miserabile “figuretta” e il loro auto-massacro dovrebbero ricevere gli omaggi e i ringraziamenti di Tajani che, grazie ai due sciagurati che gli hanno sgomberato il campo centrista autoannullandosi, ha ridato vita, anche qui a sorpresa, ad una Forza Italia che sembrava defunta con il suo fondatore. FI diviene così, anche grazie allo scavalco della Lega, forza stabilizzante del governo Meloni che, sull’onda di un quasi 48% globale (4,5 punti in più rispetto alle politiche) si candida a durare , salvo clamorosi imprevisti, fino al termine della legislatura, data la permanente frammentazione delle opposizioni che il successo del PD non credo basterà a colmare, almeno a livello nazionale. Resta da dire di AVS. L’exploit europeo, come altri casi del passato di voto di opinione alle Europee, potrebbe rimanere circoscritto e non dare effetti significativi a livello nazionale, oppure fare da starter per un ruolo significativo nella politica italiana. Spetterà alla coppia Fratoianni- Bonelli (definita sovente del “gatto e la volpe“, laddove però è piuttosto il primo ad aver già dato, fin dalla militanza nel movimento no-global di inizio secolo, prova della propria abilità manovriera) dimostrare di aver forza e progetto strategici, oltre che buone trovate tattiche, evitando di venir cooptati come ruota di scorta del PD, ma soprattutto dotandosi di strutture locali forti e significative e di una presenza costante nei movimenti e nelle lotte sociali e sindacali (e ivi, magari evitando, o almeno ridimensionando, l’evidente collateralismo attuale con la Cgil).
Piero Bernocchi
p.s. non ho dedicato rilievo ad una fatto comunque “storico”, la prevalenza, per la prima volta nella storia delle elezioni nazionali italiane, dell’astensionismo che ha battuto la partecipazione elettorale: ben 26 milioni e trecentomila italiani/e non sono andati a votare (il 51% circa). Pur essendo il sottoscritto un militante politico e sindacale con circa 58 anni di, spero rispettabile, impegno sociale globale e permanente, nazionale e internazionale, innumerevoli volte mi sono astenuto alle elezioni politiche. Pur tuttavia, non ho dato mai all’astensione (anzi ho scritto un saggio contro questa visione illusoria delle elezioni , che si può leggere nel mio sito www.pierobernocchi.it) valenza salvifica o progressista, tanto meno in Italia dove i partiti hanno imparato da tempo a scrollare le spalle di fronte a cifre di astensione persino così abnormi , continuando tranquillamente per la propria strada. Resta il fatto però che, seppur ininfluente sui comportamenti dei singoli partiti, è fuor di dubbio che il fatto di verificare, come politica istituzionale, il distacco dal voto del 51% della popolazione, fottendosene poi alla grande, getta un vistoso discredito sulla democrazia liberale e agevola indubbiamente la propaganda dei regimi illiberali, autoritari o apertamente dittatoriali nei confronti di quella che avranno sempre più credito a definire “democrazia illusoria e non sostanziale“, per la quale, dunque, non varrebbe manco la pena di battersi in sua difesa.