Ancora più nettamente Engels, nel suo scritto su Feuerbach del 1886, annunciò l’eutanasia della filosofia, la sua fine irrevocabile come strumento essenziale di analisi del mondo, della realtà e dello sviluppo materiale e spirituale dell’umanità. Insomma, per Marx ed Engels la filosofia come ricerca puramente speculativa della verità assoluta non aveva più ragione di esistere.
“Si lascia correre la ‘verità assoluta’, che per questa via e da ogni singolo isolatamente non può essere raggiunta, e si dà la caccia, invece, alle verità relative accessibili per la via delle scienze positive e della sintesi dei loro risultati a mezzo del pensiero dialettico. Con Hegel ha fine, in generale, la filosofia; da una parte, perché egli nel suo sistema ne riassume tutta la evoluzione nella maniera più grandiosa; dall’altra, perché egli, sia pure inconsapevolmente, ci mostra la via che da questo labirinto dei sistemi ci porta alla vera conoscenza positiva del mondo”(41).
Apparentemente, dunque, il materialismo di Marx ed Engels stilò un certificato di morte teorica e politica per quegli ideologi idealisti (e per tutto il filosofare che partiva dal cielo delle Idee) che sostenevano avere la filosofia, le religioni e la morale una ragione di esistenza e un percorso del tutto autonomo e indipendente dalla vita concreta, materiale, quotidiana. La lapide tombale la volle porre proprio Engels riprendendo la celeberrima frase di Marx: “I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; ora si tratta però di mutarlo”(42): e non si può certo mettere in dubbio che i due teorici del materialismo storico abbiano dedicato tutta la loro vita a cercare di cambiare il mondo, influenzando in un modo che ha pochi precedenti tanta parte della successiva storia dell’umanità. Però il nucleo più profondo dell’idealismo, a me pare, restò nella loro elaborazione e nella prefigurazione delle sorti della lotta tra capitalisti e operai. Ci rimase innanzitutto nella valutazione della forza materiale delle idee, ora non più quelle di Hegel ma del marxismo, con toni che a volte sembrano adeguati ad una sorta di fase suprema dell’hegelismo.
“L’arme della critica non può certamente sostituire la critica delle armi, la forza materiale deve essere abbattuta dalla forza materiale, ma anche la teoria diviene una forza materiale non appena si impadronisce delle masse”(43).
Laddove questo “impadronirsi delle masse” da parte della teoria (ovviamente quella marxiana) non solo riproponeva quasi letteralmente la potenza delle Idee e dello Spirito di stampo hegeliano ma aggiungendovi addirittura la nota, quasi vampiresca o diabolica, della possessione della mente degli umani da parte dell’Idea-Teoria. O ancora:
“Dove è dunque la possibilità positiva della emancipazione tedesca? Nella formazione di una classe con catene radicali, di una classe della società civile, di uno Stato che sia la dissoluzione di tutti gli Stati, di una sfera che per i suoi dolori universali possieda un carattere universale e non rivendichi alcun diritto particolare, poiché contro di essa viene esercitata non una ingiustizia particolare bensì l’ingiustizia senz’altro, la quale può fare appello non più ad un titolo storico ma al titolo umano, che non si trova in contrasto unilaterale verso le conseguenze, ma in contrasto universale contro tutte le premesse del sistema politico tedesco, di una sfera, infine, che non può emancipare sé stessa senza emanciparsi da tutte le rimanenti sfere della società, la quale, in una parola, è la perdita completa dell’uomo, e può dunque guadagnare nuovamente sé stessa soltanto attraverso il completo riacquisto dell’uomo. Questa dissoluzione della società in quanto stato particolare è il proletariato”(44).