“La richiesta dell’eguaglianza dei salari è basata su un errore, su un desiderio vano che non verrà mai appagato. Esso scaturisce da quel radicalismo falso e superficiale che accetta le premesse ma tenta di evitare le conclusioni. Sulla base del sistema del salario il valore della forza-lavoro viene fissato come quello di qualunque altra merce. E poiché diverse specie di forza-lavoro hanno un diverso valore, richiedono cioè diverse quantità di lavoro per la loro produzione, esse debbono avere un prezzo diverso sul mercato del lavoro. Richiedere sulla base del sistema salariale una paga uguale o anche soltanto equa è lo stesso che chiedere la libertà sulla base del sistema schiavistico. La questione che si pone è: che cosa è necessario e inevitabile entro un dato sistema di produzione? Da quanto abbiamo esposto risulta che il valore della forza lavoro è determinato dal valore degli oggetti d’uso corrente che sono necessari per produrla, svilupparla, conservarla e perpetuarla”(56).
Qui la tesi delle macchine che avrebbero cancellato le differenze del lavoro e eguagliato i salari al livello più basso – punto fondamentale del Manifesto e della produzione teorica e politica marxiana degli anni successivi – spariva del tutto, sostituita da considerazioni pressoché opposte sull’esistenza di “diverse specie di forza-lavoro” aventi una incompatibilità salariale, un diverso costo strutturale e dunque differenti retribuzioni, poiché richiederebbero diversi “oggetti d’uso corrente” che parrebbero indispensabili per “produrre, sviluppare, conservare e perpetuare” tali forze-lavoro, al plurale. Se è piuttosto semplice convenire che un lavoro più qualificato, che richieda più competenze, più studi, più applicazioni ed esperienze – in sintesi, usando un termine in voga, più professionalità – abbia costi superiori di formazione rispetto ad uno meno qualificato, desta sorpresa questa differenziazione che Marx introdusse anche sul piano degli “oggetti d’uso corrente” indispensabili per la vita quotidiana, visto che la grande maggioranza di essi non dovrebbero variare significativamente per un operaio qualificato o no: tanto più che essa giungeva dopo decenni di idealistico e radicale egualitarismo nella teoria e nella propaganda politica. In realtà, dopo un ventennio di analisi dell’economia capitalistica, Marx dovette ammettere che l’omogeneità strutturale del proletariato – e quella politica che ne conseguiva nella sua elaborazione precedente – non esisteva né come dato di fatto né come linea di tendenza, se già a partire dal salario ci si imbatteva in valori basicamente diversi e, a detta dello stesso Marx, immodificabili, e dunque con retribuzioni e condizioni di vita altrettanto differenti.
“Vi sono alcune circostanze particolari, che differenziano il valore della forza-lavoro dai valori di tutte le altre merci. Il valore della forza-lavoro è costituito da due elementi, di cui l’uno è fisico, l’altro è storico o sociale. Il suo limite minimo è determinato dall’elemento fisico, il che vuol dire che la classe operaia, per conservarsi e rinnovarsi, per perpetuare la propria esistenza fisica, deve ricevere gli oggetti d’uso assolutamente necessari per la sua vita e per la sua riproduzione. Il valore di questi oggetti d’uso assolutamente necessari costituisce quindi il limite minimo del valore del lavoro….Oltre che da questo elemento puramente fisico, il valore del lavoro è determinato dal tenore di vita tradizionale in ogni paese. Esso non consiste soltanto nella vita fisica, ma nel soddisfacimento di determinati bisogni, che nascono dalle condizioni sociali in cui gli uomini vivono e sono stati educati…Se confrontate tra loro i salari normali o i valori del lavoro in diversi paesi e in diverse epoche storiche dello stesso paese, troverete che il valore del lavoro è una grandezza variabile, anche se i valori di tutte le altre merci rimangono costanti” (57).