“Per quanto sia mutata la situazione negli ultimi venticinque anni i principi generali svolti in questo Manifesto sono ancora oggi del tutto giusti. Qualche cosa sarebbe qua e là da ritoccare…La Comune di Parigi , specialmente, ha fornito la prova che la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini…Lo stesso dicasi delle osservazioni rispetto ai diversi partiti di opposizione le quali, pur giuste nei principi generali, sono invecchiate nei particolari..perché l’evoluzione storica ha fatto sparire la maggior parte dei partiti citati. Forse in una successiva edizione si potrà aggiungere una introduzione che getti un ponte tra il 1847 ed oggi”(5).
Ma tale “ponte” non venne mai gettato, perché Marx ed Engels non ritennero necessario mutare i principi di fondo del testo, peraltro ribaditi in quasi tutta la loro successiva produzione teorica e politica. Neanche nell’edizione russa di dieci anni dopo – a cui Marx ed Engels dettero una grande importanza perché, con notevole lungimiranza, ritenevano che la Russia formasse “l’avanguardia del movimento rivoluzionario in Europa”(6) e che fosse assai probabile che “la rivoluzione russa servirà di segnale a una rivoluzione operaia in Occidente”(7) – vennero apportate correzioni, ribadendo che il compito del Manifesto era ancora “la proclamazione dell’inevitabile e imminente crollo della proprietà borghese”(8). Il suggello definitivo sull’importanza, l’attualità, la validità e non emendabilità di esso per i teorici del comunismo “scientifico” e per i loro seguaci nel mondo, lo diede infine Engels, dopo la morte di Marx (9), nelle tre prefazioni che fece rispettivamente per l’edizione tedesca del 1883, per la successiva del 1890 e per quella polacca del 1892.
“Marx, l’uomo a cui tutta la classe operaia d’Europa e d’America deve più che ad alcun altro, riposa nel cimitero di Highgate. Dopo la sua morte meno che mai si può parlare di una rielaborazione o di un completamento del Manifesto. Tanto più credo necessario riaffermare qui ancora una volta esplicitamente quanto segue. Il pensiero fondamentale, cui si informa il Manifesto – che la produzione economica e la struttura sociale che necessariamente ne consegue formano, in qualunque epoca storica, la base della storia politica e intellettuale dell’epoca stessa; che, conforme a ciò, dopo il dissolversi della primitiva proprietà comune del suolo(10), tutta la storia è stata una storia di lotte di classi, di lotte tra classi sfruttate e sfruttatrici, dominate e dominanti; che
questa lotta ha ora raggiunto un grado in cui la classe sfruttata ed oppressa (il proletariato) non può più liberarsi dalla classe che la sfrutta e la opprime (la borghesia) senza liberare anche, ad un tempo e per sempre, tutta la società dallo sfruttamento, dall’oppressione e dalle lotte fra le classi – questa concezione fondamentale, destinata a produrre nella scienza storica un progresso uguale a quello prodotto da Darwin nelle scienze naturali, appartiene esclusivamente a Marx”(11).
E altrettanto nettamente:
“Il Manifesto è ridivenuto l’indice dello sviluppo della grande industria in tutto il continente europeo. Nella misura in cui si estende in un paese la grande industria, cresce anche tra gli operai dello stesso paese il desiderio di chiarezza sulla loro posizione, in quanto classe operaia, di fronte
alle classi possidenti, si estende tra di loro il movimento socialista e aumenta la richiesta del Manifesto. Pertanto, non solo le condizioni del movimento operaio, ma anche il grado di sviluppo della grande industria si possono misurare in ogni paese con una certa precisione secondo il numero degli esemplari del Manifesto diffuso nella lingua nazionale”(12).