Sospensione delle lezioni e didattica a distanza: in questo scenario siamo costretti a muoverci da settimane, adottando le modalità che ciascuno/a ritiene più opportune, accomunati, docenti e studenti, dal riconoscimento di un primordiale bisogno di relazione e di contatto. Un modo per reagire allo stato di eccezione che interrompe il fluire delle relazioni, della vita, sottomettendoci al principio esclusivo della sopravvivenza biologica individuale, un modo per affermare l’importanza delle relazioni sociali in un tempo in cui le persone diventano individui, bloccati nella paura, distanti, diffidenti, passivi, annoiati e soli. La scuola è luogo di incontro: mai come ora capiamo quanto sia importante e imprescindibile la fisicità, la presenza di corpi, sguardi e voci che si intrecciano; abbiamo sperimentato, anche con le nuove tecnologie di comunicazione on-line , la possibilità di vedersi e ascoltarsi, come resiliente tentativo di tenere in vita almeno una traccia di contatto reale. L’obiettivo, nitido quanto difficile, è preservare la funzione di presidio civile che la scuola rappresenta di fronte al vuoto della paura e dell’emergenza.
Questa consapevolezza non può e non deve in alcun modo diventare uno schermo per nascondere la realtà: il diritto all’istruzione è stato sospeso, cosi come molti diritti civili fondamentali garantiti dalla Costituzione, per tutelare un diritto alla salute minacciato dalla pandemia e dall’inadeguatezza del nostro sistema sanitario a fronteggiarla, nonostante l’abnegazione e i ritmi massacranti con cui stanno lavorando gli operatori sanitari, esponendosi a pesanti rischi personali. La ratio dei provvedimenti governativi è quella di rallentare la diffusione del contagio, abbassando e spalmando i picchi, in modo da rendere più sostenibile la pressione sul SSN, anche grazie ai tentativi di potenziare, in particolare, la terapia intensiva. Ma tale situazione è stata determinata dalla pluridecennale politica neoliberista dei tagli alla spesa sanitaria, fatta passare come razionalizzazione, che ha determinato chiusura di ospedali, riduzione dei posti letti, riduzioni dell’organico, aumenti delle liste di attesa. Tra i problemi riscontrati in questi giorni in Lombardia vi sono il ritardo con cui vengono fatti i tamponi anche per chi segnala sintomi preoccupanti (almeno 4 giorni) e i ritardi nell’ ospedalizzazione, quando tutti gli esperti sottolineano che l’efficacia delle terapie è decisamente maggiore nelle prime fasi della malattia. Inoltre, la riconversione degli altri reparti sta determinando un’inevitabile riduzione delle cure per le altre patologie. Anche la regionalizzazione della Sanità mostra la corda, perché di fatto determina uno scarso coordinamento delle strutture sanitarie a livello nazionale nella gestione dell’emergenza. La regionalizzazione è strutturalmente collegata con l’aziendalizzazione e la privatizzazione, perché storicamente l’aumento delle competenze degli enti locali implica una riduzione delle risorse pubbliche e della stessa efficacia dell’intervento. Non a caso il governo si è deciso ad autorizzare la requisizione temporanea delle strutture private idonee. Tutto questo dovrebbe essere un monito politico per bloccare le folli proposte di autonomia regionale differenziata, sia in salsa leghista che del PD.
Gli effetti sull’economia reale sono pesantissimi, ma diventano drammatici per tantissime categorie del lavoro dipendente e autonomo, i “non garantiti” che pagheranno duramente quello che sta accadendo. Il primo settore che ne ha sofferto è stato il turismo, che produce il 14% del PIL; ora stanno crollando decine di migliaia di piccole e medie attività di ristorazione, accoglienza, ospitalità, artigianato, commercio, produzione e diffusione alimentare, con decine di migliaia di lavoratori, precari o in nero, senza reddito; persino piccole e medie aziende, che dovrebbero essere al riparo dall’uragano, tracollano perché il Made in Italy ora fa paura persino nei settori più impensabili. Ma con le restrizioni progressive per la maggior parte delle attività economiche per un tempo che allo stato non è prevedibile e, nonostante i provvedimenti di sostegno alle famiglie e alle imprese, vi sarà un crollo della domanda interna con effetti negativi a catena sulla produzione e sull’occupazione. E’ sempre più evidente che bisogna invertire la rotta: abbiamo bisogno come il pane dell’intervento pubblico in economia per sostenere la domanda, per orientare la produzione verso modelli sostenibili, per ricominciare ad investire sulla ricerca e l’innovazione, per un reddito “di quarantena” nell’immediato, per i lavoratori autonomi e dipendenti, anche precari o in nero, più colpiti, e un reddito universale in prospettiva. E’ un segnale sicuramente positivo la decisione della Commissione UE di proporre al Consiglio, per la prima volta nella storia, l’attivazione della clausola del Trattato che prevede la sospensione del Patto di Stabilità. E’ un’operazione simile al “whatever it takes“ di Draghi, a cui seguì il quantitative easing e una politica monetaria fortemente espansiva; ora assistiamo a un’inversione di rotta anche per la politica di bilancio. Ma il quadro dei vincoli di bilancio che ha caratterizzato la vita dell’euro e dell’UE, dal Patto di Stabilità al Fiscal Compact, deve saltare in modo strutturale e permanente. E’ necessaria un’ingente e stabile spesa pubblica in deficit per affrontare l’emergenza sanitaria e strutturalmente aumentare la domanda, la produzione e l’occupazione. Va finanziata con il Fondo Salva Stati, con gli Eurobond e, soprattutto, rimettendo in discussione il tabù del finanziamento monetario, conferendo alla BCE e alle BCN i poteri che hanno tutte le Banche Centrali del mondo: acquistare titoli di Sato sul mercato primario e anticipare moneta in conto corrente al Tesoro dello Stato.
In questo contesto la scuola oggi sopravvive come presidio di civiltà, come sforzo collettivo inderogabile di affermare il bisogno di sopravvivenza civile, sociale, affettiva, e non solo biologica. Ma guai a pensare che questa possa essere la normalità, l’occasione offerta alla scuola per scoprire alternative migliori; guai a pensare che stiamo garantendo davvero il diritto all’istruzione in altra forma o addirittura che si tratti di un’opportunità per fare un salto di qualità. Ogni sospensione dei diritti costituzionali è sempre una minaccia. L’emergenza è il terreno ideale per le sperimentazioni sociali, l’occasione per imporre cambiamenti difficilmente realizzabili in tempi normali. E’ la tecnica della shock economy teorizzata da Naomi Klein: approfittare della crisi per imporre in modo strutturale nuovi modelli economico-sociali. La sospensione della socialità nel momento dell’emergenza porta con sé il rischio che diventi strutturale il ritorno all’individualismo anche con il ritorno alla normalità, tanto più se pensiamo che già in tempi normali l’io stava prevalendo sul noi. La conseguenza sarebbe una drastica riduzione del peso dell’azione e dell’organizzazione collettiva, dello stesso conflitto sociale, con un aumento esponenziale della disuguaglianza sostanziale a scapito dei più deboli. Un rischio del genere c’è anche nella scuola: sospensione della collegialità per rafforzare ulteriormente il potere gerarchico dei dirigenti; didattica a distanza che diventa strutturale e sostitutiva della didattica in presenza…. Per questo sentiamo la necessità di focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti della situazione attuale per capire cosa sta accadendo e dove stiamo andando, quali sviluppi della gestione dell’emergenza siano da contrastare e scongiurare, quali, invece, siano occasioni per rafforzare la scuola pubblica e il diritto all’istruzione.
Emerge da quanto detto in premessa, ma lo vogliamo ribadire con grande chiarezza e semplicità. La didattica a distanza è inevitabile in questa fase, ma non illudiamoci e non illudiamo: non è scuola, non garantisce il diritto all’istruzione! La scuola è, o dovrebbe essere, una comunità educante, che punta allo sviluppo delle capacità di analisi e di sintesi, allo sviluppo dello spirito critico della/del cittadina/o e, per esserlo, ha bisogno di relazioni umane, emotive e cognitive, che non possono essere assicurate dall’insegnamento a distanza.Siamo d’accordo nel farci carico della situazione per mantenere i contatti con studenti e studentesse, per sostenere e provare a dare un contributo, ma ribadiamo con forza che ciò è semplicemente reso indispensabile ed ineludibile dall’eccezionalità della situazione e rigettiamo con forza qualsiasi retorica modernista e qualsiasi ubriacatura pseudo tecnologica per il futuro.
In realtà basterebbe, ma pare non lo faccia nessuno, chiedere e discutere con i diretti interessati; credete che studenti e studentesse preferiscano rimanere in casa davanti ad un pc o, più spesso, ad uno smartphone per ore ed ore piuttosto che frequentare una scuola? Di più, credete che questo sarebbe un bene per loro? Avete chiesto alle famiglie cosa ne pensano? Avete parlato con i/le docenti per avere feedback reali? Sono evidentemente domande retoriche: basta il buon senso per rispondere. Assodato che questa è solo una situazione di emergenza che non dovrà, da questo punto di vista, lasciare alcuna eredità, vogliamo mettere in evidenza come anche in questo caso le emergenze diventino subito occasioni per effettuare sperimentazioni, per far fare salti in avanti a logiche securitarie e di controllo, per introdurre “novità” al di fuori delle regole e degli schemi istituzionali e normativi, per verticalizzare le relazioni di potere e sperimentare nuove forme di dirigismo autoritario. Rifiutiamo l’idea che a causa della pandemia le scuole diventino caserme o navi da guerra, non abbiamo bisogno né di capitani né di comandanti; non siamo disposti a dare spazio a retoriche patriottarde che mascherano intenti autoritari, così come non vogliamo dare spazio alle smanie di protagonismo e deliri di controllo messi in campo da svariati dirigenti e, purtroppo, anche alcuni/e nostri/e colleghi/e.
C’è anche un altro aspetto di cui tenere conto in questa ubriacatura pseudo-tecnologica. Stiamo aprendo le porte ai giganti del big-tech,con la scusa del poco tempo, grazie anche ad accordi che da tempo stavano venendo avanti, le grandi corporazioni del cosiddetto big-tech [google, microsoft, apple ecc…] stanno entrando in pompa magna nel sistema scolastico. Consideriamo grave che, senza colpo ferire, senza un minimo di discussione, una fetta del sistema e dello stesso diritto all’istruzione (una grossa fetta se diamo retta ai paladini della dad) venga acriticamente messa in mano di questi colossi multinazionali privati, famosi soprattutto per le loro capacità di estrarre profitto dalle nuove tecnologie e di evadere o eludere il fisco. Anche qui vediamo in azione i meccanismi della shock economy: sull’onda dell’emergenza si introducono senza confronto e senza discussione elementi di mercato e di omologazione, mentre al contempo si restringono gli spazi di democrazia. Dove sono finite tutte le riflessioni e i tentativi di introduzione del software libero? Dove finisce l’opposizione e la protezione dalle ingerenze di questi colossi multinazionali? Perché continuare ad aprire le porte della scuola alla società dei big-data, in mano alle corporazioni private, con tutti i pericoli del controllo continuo?
Infine, vi è una scuola in cui tutte le tendenze analizzate si mostrano in modo esasperato e paradossalmente alla rovescia ed è la scuola in carcere. I detenuti, costretti ad una doppia reclusione a causa del COVID-19, non hanno più alcuna possibilità di avere contatti con i propri insegnanti, con cui hanno, per nove mesi l’anno, il rapporto quotidiano più costante e diretto. I docenti sono stati fatti uscire dalle aule “ristrette” il 4 marzo e da allora non hanno avuto più alcuna possibilità di avere contatti con i propri studenti. La Circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del 12 marzo ha previsto l’uso di Skype anche per riprendere i rapporti con gli alunni, ma ciò si sta rivelando impossibile (manca il personale, mancano i computer, mancano gli spazi) e, al massimo, i docenti possono consegnare materiale cartaceo alle aree educative interne, Come è facile capire, in celle affollate, senza illuminazione adeguata, in una condizione di ansia e con problematiche serissime da affrontare (tra cui quella sanitaria) difficilmente tale materiale potrà essere utilizzato, nonostante anche in carcere ci si diplomi e gli studenti maturandi non si sa, ancor più che nel “mondo di fuori”, quando e se potranno svolgere gli Esami di maturità. Dunque, proprio in carcere, dove il controllo dei detenuti è totale, salvo i momenti in cui tragicamente la “rivolta” si diffonde (e ricordiamo qui le 13 vittime dell’ultima protesta), l’utilizzo della didattica a distanza è, invece, praticamente inesistente, perché inutile nell’istituzione totale per eccellenza, dove il controllo è la norma.
Ci sono, comunque, aspetti concreti che, anche nell’ambito della situazione emergenziale, devono essere affrontati.
1) In base alle leggi e alle norme contrattuali vigenti, con la sospensione delle attività didattiche i docenti non hanno alcun obbligo di svolgere le 18, le 24 o 25 ore di lezione. Svolgere attività didattica a distanza risponde ad una inevitabile necessità, ma non ad un obbligo giuridico. Al tempo stesso le modalità di svolgimento non possono essere imposte: il docente è libero di scegliere le diverse modalità e tecniche. Dal D. Lgs 165/2001 fino alla legge 107/2015 tutte le leggi o atti aventi forza di legge prevedono che i poteri del dirigente scolastico sono esercitati nel rispetto delle competenze degli organi collegiali. Nel DL n. 6/2020 non si rinvengono deroghe a tali previsioni legislative. L’art. 7 del TU assegna al Collegio dei docenti “potere deliberante in materia di funzionamento didattico del circolo o dell’istituto(..). Esso esercita tale potere nel rispetto della libertà di insegnamento garantita a ciascun docente”. Il comma prosegue elencando una serie di competenze specifiche del Collegio che spaziano in moltissimi campi che attengono tutti alla didattica. Per cui, il Collegio dei docenti ha quella che nel linguaggio giuridico si chiama “competenza generale” su tutto ciò che attiene alla didattica. E’ di tutta evidenza che l’art. 1 del DPCM del 4 marzo può essere interpretato in modo legittimo solo nel senso che il DS ha l’obbligo di attivare modalità di didattica a distanza, ma ad esso non corrisponde alcun obbligo da parte dei docenti. Insomma, è legittimo e opportuno che il DS agisca come i vecchi presidi, cioè promuovendo e coordinando le attività didattiche a distanza, ma senza alcuna forma di imposizione. E il coordinamento significa anche evitare di imporre agli studenti di stare per tempi lunghissimi al computer, riducendo il numero delle video lezioni, nonché evitare di sovraccaricarli di compiti da svolgere.
2) Le attività svolte a distanza vanno tracciate nel registro on line, ma senza assolutamente firmare il registro di classe: sarebbe un falso in atto pubblico, che attesta ciò che non corrisponde al vero, cioè che si sono svolte le lezioni in presenza; se non è possibile tracciare le attività senza firmare, va specificato che si tratta di didattica a distanza.
3) Le valutazioni di carattere sommativo sono assolutamente illegittime e anche inopportune. Checchè ne dicano i funzionari del Miur, tutta la normativa scolastica prevede l’obbligo della vigilanza durante le prove, sia scritte che orali, ed è di tutta evidenza che essa non viene garantita con prove on line. Il che non significa che non vi siano feedback da parte degli studenti: lo sono le domande, i rilievi critici, lo stesso svolgimento dei lavori assegnati, magari svolti in modo collettivo. Tutti elementi che concorrono a determinare la c.d. valutazione formativa, cioè valutazione delle prove che serva per la crescita cognitiva degli studenti, una valutazione dunque che non si trasforma in voto. Infine, ma non ultimo per importanza, valutazioni sommative a distanza di fatto porterebbero inevitabilmente, non al 6 politico tanto temuto dalla Ministra, ma al 6 di mercato, purtroppo già tendenzialmente imperante nella scuola dell’autonomia, in cui le scuole in competizione tra di loro per accaparrarsi clienti- iscritti (che significano più risorse economiche e di personale) scambiano iscrizioni con promozioni. Infatti, valutazioni negative a distanza, se determinanti bocciature in sede di scrutinio, porterebbero inevitabilmente ad una marea di ricorsi con alta probabilità di esiti positivi. Le valutazioni sommative è bene riservarle a quando torneremo veramente a fare scuola, sperando di avere almeno un mese di tempo per riprendere le file del discorso e somministrare delle valutazioni finali, che comunque non potranno non tenere conto dell’eccezionalità della situazione.
Per tutte queste ragioni chiediamo anche l’immediato ritiro della Nota MIUR n. 388/2020 sulla didattica a distanza, che tante inopportune complicazioni sta creando al lavoro quotidiano di docenti e studenti/sse.
4) Le attività legate ad Invalsi e PCTO (ex alternanza scuola lavoro) devono essere senz’altro sospese. Le prove Invalsi vanno annullate per tutte le classi dei vari ordini di scuola per le quali sono previste. Le attività di PCTO vanno sospese per tutti le classi del triennio delle scuole superiori, sia perché in tempi di emergenza non è pensabile continuare a sottrarre ore alla didattica ordinaria in presenza già pesantemente falcidiata, sia per evidenti ragioni di tutela della salute. Entrambe non devono costituire requisiti per l’ammissione agli esami, anche per gli alunni delle attuali quarte, per evitare che siano costretti a svolgere gli stage aziendali nell’ultimo anno di corso. Per le classi terze e quarte di quest’anno le attività vanno ridotte di 1/3 per evitare che siano costrette a svolgere in due anni ciò che era previsto per tre. Vi sono state delle dichiarazioni in tal senso, ma non vi è ancora nulla di ufficiale. Che senso ha volersi incaponire a portare avanti attività di questo tipo in un momento come questo? Stupisce e preoccupa che, nonostante l’emergenza giustifichi la sospensione delle lezioni, ancora non si sia fatta una cosa così semplice come cancellare attività che non hanno alcuna valenza didattica, che hanno l’unico pregio di essere perfettamente congeniali alla logica della scuola-azienda; evidentemente l’emergenza vale solo in determinati campi, mentre altri devono essere difesi e mantenuti ad ogni costo.
5) Gli esami di Stato vanno svolti con le Commissioni formate tutte da membri interni, che conoscono il lavoro effettivo svolto dalla classe. Per lo stesso motivo, anche le prove scritte vanno formulate dalla Commissione stessa, sulla base di uno schema base fornito dal Miur, per garantire un minimo di omogeneità. Per lo stesso fine potrebbe essere auspicabile che il Presidente sia esterno.
6) Nonostante quel che dice la Ministra, inevitabilmente quest’anno scolastico avrà effetti anche sul prossimo, per il semplice motivo che aver perso 2 o, in alcune regioni, 3 mesi di scuola vera imporrà una riformulazione della programmazione didattica anche per l’anno prossimo. Per cui, è ancora più indispensabile avere tutti docenti in cattedra dal primo giorno di scuola. Ma il protrarsi dell’emergenza determinerà inevitabilmente un allungamento dei tempi sia del concorso straordinario che di quello ordinario. Per cui, è necessario anche nella scuola applicare i criteri emergenziali già applicati per i medici: valore abilitante della laurea; concorso straordinario per soli titoli per tutti i precari che hanno maturato 36 mesi di servizio, in applicazione anche delle sentenze della Corte di Giustizia Europea che hanno condannato lo Stato italiano per abuso di ricorso al contratto a tempo determinato. Nell’immediato chiediamo la proroga dei contratti per tutto il personale a tempo determinato, docente e Ata, che risultava in servizio al momento della disposizione di sospensione delle attività didattiche o di chiusura delle scuole.
7) Con l’entrata in vigore immediata del DL 17.3.2020 e, ancor di più, con la chiusura di tutte le attività produttive che non siano strettamente necessarie per garantire beni e servizi essenziali, annunciata da Conte la sera del 20 marzo, nella stragrande maggioranza dei casi le scuole devono essere chiuse anche per il personale Ata.Infatti, l’art. 87 c.1 prevede: “il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni (..), che, conseguentemente: a) limitano la presenza del personale negli uffici per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro, anche in ragione della gestione dell’emergenza”. Nella scuola i casi di attività indifferibili e strettamente necessarie da svolgere in presenza sono veramente pochi, come la gestione delle aziende agrarie o quella dei rifiuti tossici. Continuare a tenere aperte le scuole significa esporre a inutili rischi il personale Ata e gli stessi dirigenti, che in caso di contagio potrebbero incorrere in responsabilità anche di carattere penale.
Esecutivo nazionale dei COBAS – Comitati di base della Scuola
23 marzo 2020